Dopo Bobbio la strada sale tortuosa tra i colli, attraversando gruppi sporadici di case; è una di quelle giornate d’autunno in cui l’aria è tiepida, il cielo terso, la luce dorata. Chiediamo indicazioni a una coppia di anziani in trattore. “Sempre avanti!”. Poco dopo, arroccata su un poggio isolato, ci appare la chiesa di San Medardo. Si tratta di uno dei luoghi più simbolici della resistenza piacentina: qui, nel ’43, con l’aiuto del parroco, Giovanni Bruschi, furono organizzati i primi movimenti antifascisti al comando del partigiano Emilio Canzi. Il signor Sandro, che vive lì vicino e si batte per preservare il luogo di resistenza, ci apre una porta laterale nei pressi dell’abside; entriamo, seguiti da Enrico e Marco dell’Anpi. Circa ottant’anni fa i partigiani si erano rifugiati qui e avevano nascosto, all’interno della chiesa, armi e munizioni. Il foro c’è ancora, ben visibile, in una nicchia antistante la porta da cui siamo entrati, ed è proprio in quel punto che decidiamo di proiettare.

Fuori il sole è tramontato da poco, ma l’oscurità incalza rapida. Seguiamo Enrico a piedi fino al vicino cimitero in cui è sepolto Canzi. Chini sulla tomba ci facciamo luce coi cellulari.

È scritto: Tra gli alti monti e la gente umile donde con pochi animosi intraprese l’ultima sua battaglia per la libertà dei popoli Emilio Canzi volle riposassero le sue spoglie mortali. Sposata la causa dei poveri e degli oppressi da combattente leale ed indomito in terra d’Italia e di Francia, in Belgio, in Ispagna, in Germania per il trionfo della libertà per la giustizia sociale e per un’umanità migliore soffrì persecuzioni, esilio, galera. O tu che qui pietoso t’aggiri ascolta la voce che ammonitrice ed implacata s’alza da questa tomba.



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